BALBUZIE
La balbuzie è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “
un disordine nel ritmo della parola,
nel quale il paziente sa con precisione ciò che vorrebbe dire, ma non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà” (WHO, 1977).
Durante una conversazione le persone balbuzienti possono, ad esempio, ripetere un fonema (“k-k-k-kasa) o una sillaba (ka-ka-kasa), prolungare un suono (kaaaaaaasa) o presentare dei blocchi. In associazione possono attuare alcuni
comportamenti tesi a facilitare la fluenza dell’eloquio (strategie di coping) come la mancanza di contatto oculare, giramenti del capo, etc.
Questi aspetti sono facilmente individuabili da parte di chi si relaziona con un balbuziente poiché interrompono il normale fluire dell’eloquio e rendono difficoltosa la comunicazione.
Tuttavia vi sono alcuni aspetti, altrettanto importanti, che possono sfuggire all’attenzione dell’ascoltatore e che costituiscono la parte sommersa di un iceberg (Sheehan, 1970) che metaforicamente rappresenta la balbuzie.
Questi sintomi, detti cover, sono costituiti da un insieme di
disordini comunicativi, comportamentali ed emotivi che impattano gravemente sulla vita sociale, familiare, scolastica e lavorativa della persona.
I balbuzienti possono infatti sviluppare un attitudine comunicativa negativa, ovvero sperimentare emozioni di paura, vergogna, ansia e rabbia durante la produzione verbale; attuare evitamenti linguistici, ovvero utilizzare sinonimi o circonlocuzioni in sostituzione alle parole critiche (parole balbettate), e sperimentare una sensazione di sforzo o tensione dei muscoli implicati nella produzione verbale.
Tutto ciò può portare questi bambini ad un impoverimento del vocabolario, una limitazione delle relazioni amicali ed extrafamiliari nonché un forte senso di imbarazzo nelle situazioni sociali.
La balbuzie è quindi
un disturbo multidimensionale complesso che non si risolve al solo aspetto linguistico.
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La gravità della balbuzie varia a seconda di alcuni fattori quali la
situazione comunicativa, il numero delle persone presenti nel gruppo, la rilevanza dell’interlocutore e il mezzo di comunicazione utilizzato (telefono o face-to-face).
È possibile infatti che un bambino possa balbettare gravemente in alcuni contesti, come quello scolastico, ma non in altri, come in presenza dei nonni o di altre figure significative.
Alcune delle situazioni che tendono ad accentuare la disfluenza sono, ad esempio, parlare al telefono, presentarsi, parlare davanti a tante persone o a persone reputate importanti, etc.
Altre situazioni invece come cantare, leggere all’unisono con un altra persona, parlare da solo o con animali aiutano i balbuzienti ad avere un eloquio maggiormente fluente.
Nella maggior parte dei casi
la balbuzie ha esordio nell’infanzia (intorno ai 33 mesi) e presenta un insorgenza graduale e insidiosa, ma sembrano in aumento i casi in cui l’esordio è improvviso. La balbuzie evolutiva
si associa, nell’adulto, a distress psicologico che si manifesta già in adolescenza con disturbi d’ansia sociale.
Ricerche scientifiche hanno evidenziato come la balbuzie sia associata nel 40% dei casi a disturbi d’ansia sociale.
Anche quando non si può parlare di un vero e proprio disturbo d’ansia sociale è necessario tenere in considerazione la maggior attivazione emotiva che le persone balbuzienti sperimentano in situazioni sociali e comunicative.
Guitar e Bass (1978) hanno evidenziato come trattamenti incentrati solo sulla modificazione della fluenza, che non considerano la malattitudine comunicativa dei pazienti, ottengono risultati scadenti e non duraturi.
COME COMPORTARSI (in famiglia) CON UN BAMBINO BALBUZIENTE
Quando si entra in relazione con un bambino balbuziente è importante utilizzare alcuni accorgimenti comunicativi finalizzati ad abbassare i livelli di ansia derivanti da un attitudine comunicativa negativa.
Questi bambini sono infatti soliti ricevere disapprovazione dall’ambiente che li circonda. Essi si sentono come dei “giganti in catene” ovvero credono che se parlassero fluentemente la loro vita sarebbe migliore perché potrebbero esprimere tutte le loro potenzialità e migliorare il rapporto con i genitori (Sheehan, 1970).
Si pongono l’obiettivo irrealistico di poter sconfiggere la balbuzie anzi ché accettare la possibilità di modificarla (controllarla e ridurla) e di parlare anche balbettando senza temere il giudizio degli altri.
Quando si parla con un balbuziente è importante:
- mantenere il contatto oculare con il bambino soprattutto nel momento in cui balbetta;
- non concludere al posto del bambino le frasi che lui stesso ha intenzione di pronunciare;
- concedere al bambino il tempo di cui ha bisogno per esprimersi, evitando di esortarlo con frasi del tipo: “Quindi, cosa vuoi dire”, “Dai su, muoviti”;
- utilizzare con il bambino un tono di voce calmo, rilassato e lento;
- ridurre il numero delle domande poste, fare una domanda alla volta e attendere che il bambino risponda prima di farne un’altra;
- nel porre delle domande prendere tempo facendo delle pause di circa due secondi tra una domanda e l’altra o prima di rispondere a una sua richiesta, mantenendo sempre il contatto oculare;
- rispettare i turni comunicativi senza sovrapporsi a lui o interromperlo;
Non meno importante far comprendere al bambino che lo si ama e lo si accetta per ciò che è indipendentemente dalla balbuzie (Florio e Bernardini, 2014 in “Balbuzie: Assessment e trattamento”).
TIC
I tic sono
movimenti stereotipati e a-finalistici che l’individuo compie senza averne il controllo quali strizzare ripetutamente gli occhi, protundere le labbra, arricciare il naso, sollevare le spalle o emettere dalla bocca suoni o rumori.
I disturbi da tic
comprendono quindi sia manifestazioni motorie sia vocali che in entrambi i casi possono essere semplici, quando coinvolgono un solo muscolo o suono, oppure complessi quando, al contrario, coinvolgono contemporaneamente più gruppi muscolari o più suoni o frasi.
I tic costituiscono uno dei
disturbi neuropsichiatrici più frequenti in età evolutiva, nella maggioranza dei casi sono condizioni temporanee e tendono a scomparire da soli. I tic persistenti esordiscono in genere tra i 4 e i 7 anni, raggiungendo un picco di intensità in pre-adolescenza, per poi attenuarsi e sparire nella maggioranza dei casi in tarda adolescenza o nella prima età adulta (Verdellen C. et al., 2016).
Le recenti ricerche sostengono che alla base del disturbo da tic vi siano delle anomalie funzionali e strutturali nel cervello collegate a squilibri in alcuni neurotrasmettitori (dopamina e serotonina) a livello dei gangli della base (struttura sottocorticale deputata al controllo dei movimenti volontari e ad alcune funzioni cognitive; Bear et al., 2007).
Seppur i
fattori genetici risultano essere importanti per lo sviluppo di questa problematica
altrettanto importanti risultano essere i fattori ambientali.
Elevati o continuativi livelli di stress quotidiano possono aumentare la vulnerabilità personale e favorire lo sviluppo del disturbo.
Molto spesso un disturbo da tic è associato a un disturbo della fluenza verbale (Balbuzie).
I balbuzienti tendono a utilizzare dei movimenti per superare lo spasmo tonico o clonico del linguaggio. Inizialmente questi movimenti sono attuati volontariamente ma successivamente finiscono per diventare obbligati e involontari poiché permettono di ridurre la tensione muscolare e di abbassare i livelli di ansia percepiti durante la situazione comunicativa.
COME INTERVENIRE
L’obiettivo dell’intervento cognitivo-comportamentale è quello di
aumentare la consapevolezza della persona rispetto al tic, ovvero i
nsegnargli a riconoscere le sensazioni che lo precedono, riconoscere le situazioni che li elicitano e a controllare i muscoli implicati nel movimento.
La persona viene allenata ad utilizzare tecniche specifiche nei momenti di ansia, tensione o all’ insorgenza dei tic.
Nel caso di pazienti con disturbo da tic in età evolutiva è fondamentale il coinvolgimento dell’intero nucleo familiare per favorire la comprensione dei comportamenti del bambino, fornire strategie per la loro gestione e modificazione, e porre attenzione agli atteggiamenti che i componenti della famiglia attuano durante la manifestazione del disturbo e che spesso fungono da rinforzo al mantenimento della sintomatologia.