“Non si può fuggire dai propri problemi così come non si può fuggire dalla propria ombra. Scappare non funziona mai bisogna avvicinarsi” (M.G.Powers, “La principessa che credeva nelle favole”).
Queste parole sono vere fino all’ultima macchia di inchiostro, quasi scontate; ma quanto è difficile a volte avvicinarsi a un problema che ci sembra insormontabile, difficile, complesso, arduo, laborioso, spigoloso, stizzoso, incomprensibile, inavvicinabile, imbrogliato e chi più ne ha più ne metta.
Spesso infatti portiamo avanti missioni quasi impossibili: impieghiamo tutte le nostre energie, fisiche, emotive, cognitive e affettive; per evitare e/o allontanare da noi ciò che ci crea ansia, paura, preoccupazione (o almeno cerchiamo di farlo); non rendendoci conto di quanto stiamo in realtà limitando la nostra vita e il nostro benessere. La nostra bilancia personale pende dalla parte sbagliata!
Ipotizziamo che abbiate avuto un malore un giorno mentre eravate in ascensore e da allora avete paura di poter stare male di nuovo quando siete in quella situazione, e questo vi genera tachicardia, aumento della respirazione, capogiri, sudorazione, etc. etc. etc.. Avete sviluppato una fobia per gli ascensori. L’ascensore non è di per sé qualcosa di pericoloso, lo prendono milioni di persone al giorno e, seppur qualcuno ci è rimasto chiuso dentro per minuti o ore, ne sono sempre usciti vivi. Però il solo pensiero di poterci salire di nuovo, di poter stare male come già accaduto, di provare una paura intensa, di essere solo, di non poter ricevere aiuto immediato, di poter non essere fortunato come la volta precedente…vi paralizza e vi costringe a fare le scale. Quindi ogni venerdì per andare alla riunione con il vostro capo vi fate sei piani di scale a piedi arrivando alla meta sudati, stanchi, affannati e probabilmente con un bel mal di gambe. Nonostante tutto per voi questi sono piccoli disagi se messi in relazione a quelli che avreste provato se foste saliti in ascensore o se solo aveste pensato di farlo. Prendere le scale riduce la vostra ansia quindi, quasi sicuramente, continuerete ad utilizzarle EVITANDO la situazione che per voi è fonte di stress. Evitate il problema: la paura di salire in ascensore attuando strategie alternative anche molto costose.
Ma come mai ciò accade? Quali sono le cause? Come mai alcune persone si avvicinano al problema, prendendo nuovamente l’ascensore, e altri continueranno a preferire le scale? Come mai alcune persone, nella stessa situazione, possono sviluppare un disturbo d’ansia e altre no?
Le cause di questo comportamento sono molte e soggettive, ma se dovessimo generalizzare potremmo affermare quasi sicuramente che sono determinate da una combinazione di fattori cognitivi, emotivi e fisiologici. Mi spiego.
Contrariamente a quanto siamo soliti credere, non sono le situazioni che generano le emozioni ma i nostri pensieri: le emozioni vengono modificate dal pensiero. Quando noi affrontiamo una situazione, non è la situazione di per sé ad essere stressante o problematica ma è l’interpretazione che noi facciamo della situazione a renderla tale. Sono i nostri pensieri, le credenze e gli apprendimenti precedenti a rendere una situazione, apparentemente innocua, problematica. Nel caso del nostro amico il pensiero di poter stare male di nuovo o di non poter ricevere aiuto immediato, ad esempio.
Un pensiero catastrofico verso uno stimolo (o una situazione) apparentemente neutro, come ad esempio l’ascensore, ci porta ad “etichettarlo” come causa di pericolo, provocando un attivazione emotiva nella persona (l’ansia) e la concomitante accensione di un sistema di allarme, geneticamente determinato, che comporta una serie di reazione fisiologiche tese all’utilizzo di tutte le risorse a disposizione per fronteggiare il nemico imminente. L’attivazione emotiva innescata, al contrario di ciò che si possa credere, è una risposta estremamente utile perché ci aiuta a riconoscere un pericolo e a reagire prontamente prima che l’evento in questione si verifichi. Insomma questa risposta mette il nostro corpo nelle condizioni di “fuggire in caso di attacco” attivando un sistema molto efficace quanto arcaico grazie al quale i nostri antenati sono riusciti a sopravvivere a numerosi pericoli, permettendoci di tramandare la specie fino ad oggi. Il sistema in questione è il Sistema Nervoso Simpatico che si innesca ogni qual volta noi ci troviamo in presenza di un pericolo, reale o immaginato; ogni volta in cui proviamo paura.
Il problema si crea quando questo sistema si innesca costantemente in presenza di un pericolo che realmente pericoloso non è, come nel caso dell’ascensore; creandoci disagio e limitando la nostra autonomia. In questi casi infatti la reazione fisiologica è la stessa, per intensità e pervasività: il cuore inizia a battere più velocemente, la respirazione diventa profonda e veloce, le mani iniziano a sudare, le pupille si dilatano e il sangue è convogliato prevalentemente ai muscoli. Tutto ciò provoca un forte disagio in chi la sperimenta.
Ed eccoci ritornati al punto di partenza…e come mai evitiamo? Evitiamo per ridurre l’ansia che lo stimolo “pericoloso” ci procura. Prendere le scale mi aiuta a contenere l’ansia, a limitarla, a non percepirne gli effetti fisici che “l’ascensore o il pensiero dell’ascensore” ci procurerebbero. L’ansia ci spinge ad occuparci di eventi stressanti prima che essi si verifichino, la riduzione dell’ansia porta sollievo e perciò le risposte che portano a tale risultato vengono apprese e ricordate. L’evitamento della situazione a sua volta rafforza il pensiero di pericolosità verso l’ascensore o lo stimolo in questione, immettendoci in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Per disinnescare questo macchinoso marchingegno salvavita, affinato in secoli di duri sacrifici da parte dei nostri avi, dobbiamo avvicinarci al problema e risalire alla fonte del nostro disagio…i nostri pensieri.
Comprendere i nostri “pensieri irrazionali” rispetto a un determinato stimolo aiuta a spostare l’interruttore di questo meccanismo sull’ ”off”, ad attribuire il giusto valore emotivo a un particolare stimolo e alla situazione problematica.
La terapia cognitiva-comportamentale permette di fare proprio questo: avvicina gradualmente al problema permettendo al paziente di individuare e comprendere i propri pensieri disfunzionali, trasformandoli in pensieri maggiormente funzionali e adattivi per il benessere della persona. Ovviamente questo lavoro non è sufficiente da solo ma è necessario effettuare un graduale avvicinamento anche alla situazione temuta. E’ un lavoro impegnativo, non privo di difficoltà e fatica, ma alla fine del percorso vi renderete conto che la vostra bilancia pende dalla parte giusta, quella del vostro benessere e della riappropriazione della vostro autonomia.
Non possiamo cambiare le situazioni ma possiamo cambiare il modo di affrontarle…un detto dice ”il nocchiere saggio è colui che cambia le vele perché sa di non poter cambiare il vento”.
A cura della Dott.ssa Martina Valdemarca – Psicologa