Tutti i genitori nutrono delle aspettative per i loro figli, desiderano dargli un futuro felice, una vita di ricca di successi e tutelarli da tutto ciò che può far loro del male, si tratti di male fisico, come una caduta in bicicletta, o emotivo. Mossi da questa bussola interiore molti adulti si impegnano ogni giorno ad intervenire al minimo accenno di insuccesso: si osservano genitori che si recano a parlare con le insegnanti al primo calo del rendimento scolastico o con il maestro di musica se il ragazzo non viene inserito come solista nella recita oppure si arrabbiano con l’allenatore se il figlio è tornato a casa piangendo perché non è stato convocato come titolare alla partita di calcio.
Sebbene le intenzioni siano buone, il metodo non è propriamente quello corretto. Questi comportamenti infatti celano importanti insidie, primo tra tutte la deresponsabilizzazione dei nostri figli.
Il processo di crescita si basa sull’apprendimento che traiamo dalle esperienze che facciamo giorno per giorno. Esso passa inevitabilmente anche attraverso il fallimento e l’errore, e quindi anche attraverso una piccola dose di dolore e frustrazione. Se ci pensate i bambini quando iniziano a camminare cadono numerose volte prima di riuscire a muovere il primo passo, ma tentativo dopo tentativo, frustrazione dopo frustrazione, imparano a camminare.
L’errore e il fallimento ci aiutano a “correggere la mira”, a testare i nostri limiti ma anche a scoprire risorse nascoste. Purtroppo, attualmente, fallimento ed errore sono aspetti poco tollerati dai genitori perché sembrano collidere con il concetto di felicità e benessere, portandoli a lavorare assiduamente per bandirli dalla vita dei loro bambini. Al primo “intoppo” innescano un comportamento iperprotettivo sostituendosi al bambino nella gestione della situazione problematica per paura di “creare dolore e sofferenza” o, peggio ancora, traumi che possono influenzare negativamente lo sviluppo futuro. In realtà, questi comportamenti non fanno altro che comunicare ai bambini che da soli non sono in grado di gestire o affrontare la situazione, rendendoli così più vulnerabili a eventuali problematiche future in cui essi non potranno intervenire in loro aiuto. Questo comportamento purtroppo li mette sul cammino dell’infelicità.
Il compito del genitore dovrebbe essere quello di orientare e sostenere i figli nel percorso di crescita e non di sostituirsi a loro. Ritornando all’esempio citato precedentemente, quando vostro figlio ha mosso i primi passi voi gli eravate accanto per tendergli la mano, per aiutarlo a rialzarsi o consolarlo/motivarlo dopo l’ennesima caduta; così dovreste fare in tutti gli altri compiti evolutivi per quanto difficile possa essere. Dovrete mettervi in “disparte”, permettergli di fallire e di affrontare le conseguenze che ciò comporta, rimanendo una figura di riferimento su cui appoggiarsi per aumentare la sua consapevolezza rispetto all’accaduto, affrontare le conseguenze (emotive e pratiche) delle proprie azioni, e guidarlo nella ricerca di strategie utili a risolvere la situazione.
Insomma, dovrete imparare ad essere quello che io chiamo “l’allenatore affettivo”. Dovrete imparare a stare in panchina, proprio come fanno gli allenatori, mentre vostro figlio gioca la sua partita ma allo stesso tempo motivarlo, esultare quando segna un goal, sostenerlo quando sbaglia un rigore, suggerire strategie di gioco e accompagnarlo negli spogliatoi a fine partita.
Così facendo lavorerete per il suo benessere perché favorite lo sviluppo in diverse direzioni: aumentate la consapevolezza rispetto al proprio operato, aspetto fondamentale se si vuole diventare un adulto responsabile; favorite l’intelligenza emotiva, stimolate il problem-solving, migliorate il senso di autostima e auto-efficacia personale. I bambini hanno grandi risorse, spesso più degli adulti anche se è difficile crederlo per noi adulti, abbiate fiducia nelle loro capacità di affrontare le situazioni e le emozioni!
È difficile cambiare le proprie abitudini educative e arginare le proprie emozioni. Se siete abituati ad essere genitori un pò iperprotettivi, lasciare maggior spazio d’azione ai vostri figli può innescare emozioni negative come ansia, senso di colpa, preoccupazione, etc.; cercate di lavorare su di voi e tenete sempre chiaro nella mente l’obiettivo per cui state “lavorando”.
Crescere è difficile, è il compito più complesso del mondo, lo è quando si è piccoli e si vuole diventare grandi, ma anche quando da persone adulte e autonome si diventa genitori, quindi partite dal presupposto che state facendo bene ma migliorarsi è sempre possibile!
Dott.ssa Martina Valdemarca -Psicologa e Psicoterapeuta cognitiva-comportamentale